Saluto tutti gli amanti della cultura Afro-Americana.
Nato a Mesocco il 25 febbraio 1960, da sempre appassionato di musica nel senso più ampio del termine.
Col tempo questa passione si è focalizzata sul Jazz e le differenti avanguardie (di radice afro-americana).
Passando dal Blues, con passi piccoli ma fermi mi sono avvicinato al Jazz, e alcune delle personalità più rappresentative di questa forma espressiva sono i miei punti di riferimento da sempre ( Charlie Parker, John Coltrane, Ornette Coleman, Sonny Rollins, David Murray, AEOC e tanti altri, difficili da sintetizzare in due righe).Con questo blog vorrei far si che coloro che vogliono discutere di questa musica e di questa cultura che è il Jazz, lo possa fare liberamente







sabato 2 aprile 2011

JAZZ

Come il Blues, anche il Jazz è nato nelle comunità Afro-Americane del sud degli Stati Uniti trovando le sue prime espressioni agli inizi del XX secolo. Un genere vitale sin dall’inizio perché oltre alla musica americana, si è fatta portavoce di tradizioni musicali sia africane (soprattutto nel ritmo e nell’improvvisazione) che europee (specie nell’armonia e nella strumentazione).
Di certo la caratteristica primaria e quasi onnipresente del Jazz è l’improvvisazione.
Ripercorriamo in breve il suo percorso storico.

LE ORIGINI

Per la sua struttura e il suo tipico ritmo, il Ragtime è certamente da considerare come una prima forma di Jazz. Sviluppatosi a cavallo tra l’ottocento e il novecento, ebbe come suo principale esponente il leggendario Scott Joplin.

Ma la patria del Jazz fu indubbiamente New Orleans. Da li provengono i pionieri come Jelly Roll Morton, Joe “King” Oliver e Buddy Bolden che dopo aver formato una banda nel 1895 è considerato il primo jazzista della storia.
Un ruolo predominante lo ebbe il quartiere di Storyville che tra il 1896 e il 1917 fu teatro di delinquenza, di prostituzione e di una nuova musica che era suonata in ogni locale e in ogni angolo di strada. Probabilmente è a questo che si deve la pessima reputazione che nei primi tempi aleggiava sul Jazz.

Gli anni 20 vedono la definiva affermazione del Jazz anche grazie a musicisti come Louis Armstrong il primo a rendere predominante la figura del solista e a Fletcher Henderson, pianista fondamentale nel divulgare il ruolo di leader e arrangiatore di un’orchestra.

Verso la fine degli anni 20 e fino ai 40 si distinguono le Big Band dirette da musicisti come Duke Ellington, Count Basie. Artie Shaw, Benny Goodman e Glen Miller. Il successo di questi complessi allargati consente da un lato di mettere in luce molti solisti dotati e dall’altro di accompagnare la diffusione di nuovi balli. Il più celebre di questi fu di gran lunga lo Swing.

Dal 1940 al 1960

L’avvento della seconda guerra mondiale pose fine al periodo delle grandi orchestre, non solo per ristrettezze economiche. Gli anni 40 infatti, segnano un momento cruciale nel processo di maturazione del Jazz. A New York, dalle jam session notturne di una nuova generazione di jazzisti, prende avvio la rivoluzione del Bebop. Il termine deriva dal caratteristico suono di due note che ricorrevano nei brani.
Era una musica basata su piccoli complessi che attraverso un approccio libero e ardito ristrutturava completamente l’idea del Jazz dal punto di vista armonico, ritmico, melodico e sonoro.
I protagonisti storici di quel periodo sono Charlie Parker e Dizzy Gillespie, i due sono un punto di partenza di altri protagonisti, come Thelonious Monk, Bud Powell, Fast Navarro, Miles Davis, J.J. Johnson, Charles Mingus, Kenny Clarke, Dexter Gordon, Sonny Stitt, Max Roach, Art Blakey, Roy Haynes e tanti altri fondamentali che entreranno nella storia del Jazz.

Nel frattempo con l’avvento dei dischi a microsolco 1949, i Jazzisti hanno la possibilità di sperimentare nuove soluzioni e trovare nuove formule per esprimere la loro creatività grazie ai tempi più lunghi. È da qui che il Jazz abbandona i favori del pubblico di massa per iniziare un incredibile sviluppo artistico che farà degli anni 50 e 60 un periodo d’orato.

Agli inizi degli anni ’60, s’inizia a sperimentare una nuova musica, il Free Jazz
Ideato da Ornette Coleman il free Jazz comincia a farsi strada e ne raggiungerà il fulcro con colui che diventerà uno dei più grandi innovatori del Jazz che la storia abbia mai prodotto ( John Coltrane ) Sax.
Con il suo quartetto Elvin Jones alla batteria Mc Coy Tyner al piano e il bassista Jimmy Garrison firmerà dei capolavori della storia del Jazz, fra cui Ascension e a Love Supreme.

Un'altra figura importantissima è il pianista Cecil Taylor come pure altri esempi; Sunny Murray, Milford Graves, Andrew Cyrille, Rashid Ali.
Forse assieme a Coltrane si può affiancare Il polistrumentista Eric Dolphy, sax alto, flauto, clarinetto basso, che dalla sua morte nel 1964 quando lo si risente è ancora all’avanguardia con altri musicisti di adesso.

VERSO I GIORNI NOSTRI

Nuovi solisti si formano dai gruppi dei Jazz Messengers di Art Blakey, di Charles Mingus
e Max Roach, e nei gruppi guidati dagli ex coltraniani Elvin Jones ed i pianisti mccoy Tyner.
Di questo periodo, importanti sono, Booker Little, Don Cherry, Bill Dixon, Archie Shepp, Pharoah Sanders, Billy Harper,Roswell Rudd, Grachan Moncur III,Sun Ra,Ed Blackwell, Billy Higgins, Joe Chambers, Charles Moffett,Henry Grimes, David Izenzon, Alan Silva.
Negli anni 70 ci sono stati un'altra serie di innovatori della scuola di Chicago, Roscoe Mitchell, Richard Abrams, A.E.O.C.  ecc
Una storia meravigliosa! Una storia da raccontare ma soprattutto da ascoltare!



sabato 19 marzo 2011

Il Blues
In particolare, non c'è una precisa data di nascita per questo genere musicale: la traccia più antica di una forma musicale simile al blues è il racconto che, nel 1901  fece un archeologo del Mississippi, descrivendo il canto di lavoratori neri che sembra avere affinità melodiche e liriche con il blues. Non è, dunque, possibile stabilire con esattezza una data che segni l'origine del genere, tuttavia un anno fondamentale fu il 1865, anno dell'abolizione della schiavitù negli Stati Uniti d'America: ottenuta la libertà, (per modo di dire) numerosi ex schiavi-musicisti iniziarono a portare la loro musica fuori dalle piantagioni e, nel giro di qualche decennio, questo genere fu noto ai più fino a giungere alle prime attestazioni che ci sono pervenute.
Uno dei più importanti antenati del blues è senz'altro lo spiritual, una forma di canto devozionale nato dalle riunioni di devoti durante il Grande risveglio dei primi anni del XIX secolo.
Di argomento malinconico e appassionato, rispetto al blues gli spiritual avevano accenti meno personali e rivolti alla persona del cantante, riferendosi spesso alla condizione dell'umanità in generale e al suo rapporto con Dio, e i testi erano corrispondentemente meno profani.
Altri antenati del blues vanno cercati fra le work song (canzone di lavoro) degli schiavi di colore (field hollers) e di altra provenienza (canti dei portuali o stevedore; canti dei manovali o roustabout), che risuonavano in America all'epoca della Guerra di Secessione (e anche negli anni successivi, in cui la condizione di soggezione e povertà degli afroamericani persistette nonostante l'abolizione della schiavitù). Da questi il blues ereditò probabilmente la sua struttura di call and response ("chiamata e risposta"), di origine Africana, mutuando invece la sua struttura armonica e strumentale dalla tradizione europea.
Molte delle caratteristiche del blues, a cominciare dalla struttura antifonale e dall'uso delle blue notes, possono essere fatte risalire alla musica africana.
Sylviane Diouf ha individuato molti tratti, tra cui l'uso di melismi e la pesante intonazione nasale, che fanno pensare a parentele con la musica dell'Africa centrale e occidentale. L'etnomusicologo Gerhard Kubik è stato forse il primo ad attribuire certi elementi del blues alla musica islamica, dell'Africa Centrale e Occidentale:
"Gli strumenti a corda (i preferiti dagli schiavi provenienti dalle regioni islamiche) erano generalmente tollerati dai padroni che li consideravano simili agli strumenti europei come il violino. Per questo motivo gli schiavi che riuscivano a procurarsi un banjo avevano più possibilità di suonare in pubblico. Questa musica solista degli schiavi avevano alcune caratteristiche dello stile di canzone Arabo-Islamica che era stata presente per secoli nell'Africa centro-occidentale" dice Gerhard Kubik, un professore di etnomusicologia dell'Università di Mainz, in Germania, e l'autore di uno dei più completi trattati sulle origini africane del blues (Africa and the Blues) 


Kubik fa inoltre notare che la tecnica, tipica del Mississippi e ricordata dal bluesman W.C. Handy nella sua autobiografia, di suonare la chitarra usando la lama di un coltello, ha corrispettivi in Africa. Anche il diddley bow ,uno strumento casalingo fatto da una singola corda tesa su un asse di legno, che viene pizzicata modulando il suono tramite uno slide fatto di vetro, che si incontrava spesso nell'America meridionale agli inizi del 1900, era di derivazione africana.
Nel corso della sua evoluzione, il blues acquisì alcune delle sue caratteristiche dalle "Arie etiopi", gli spettacoli minstrel e dal ragtime. In questo periodo il blues, come testimoniato ad esempio dalle registrazioni di Leadbelly e di Henry Thomas, ha molte forme diverse, le più frequenti essendo le forme in dodici, otto o sedici battute basate sul giro tonica sottodominante dominante descritto nel seguito. La forma del blues standard in dodici battute fa la sua apparizione documentata nelle comunità afroamericane del tratto meridionale del Mississippi, e sulla Beale Street di Memphis.

giovedì 17 marzo 2011

GOSPEL

Per arrivare al Gospel facciamo un riassunto di ciò che abbiamo detto.

La deportazione dei primi schiavi negri dall'Africa in America (1619), segna l'inizio di una nuova tradizione culturale, definita come afro-americana, frutto dell'originale incontro tra il patrimonio musicale africano e quello europeo. Essa troverà nella musica jazz e nelle sue varie forme, ancora oggi in continua evoluzione, lo spazio per far emergere la propria autenticità. Soprattutto il canto del blues, dello spiritual e del gospel rappresenta quanto di più specifico e insuperabile l'animo afro-americano abbia saputo elaborare al punto da porsi non poche volte al pari, se non al di sopra, della stessa musica classica europea.
La vitalità africana si trasfonde, in terra americana, nelle primitive forme dei "calls" (richiami) e dei "cries" (grida); i primi costituiscono semplici sistemi di comunicazione di svariati messaggi per chiamare i lavoranti fuori dalle piantagioni, per segnalare l'ora del lavoro o per attirare una ragazza, i secondi sono invece pure manifestazioni sentimentali o vocalizzazioni provate.
Già in queste esecuzioni, prive di un tema o di una struttura definita, si anticipa quella che sarà la libera e personale esposizione del brano nel blues e nel jazz. Dal duro e faticoso lavoro degli schiavi nascono i "work songs", cioè i canti di lavoro; composti da taglialegna, contadini, pescatori, operai dei cantieri ferroviari, manovali e altri neri soggiogati, contengono temi che vanno dalla critica sociale, alla cronaca, al pettegolezzo e sono eseguiti da un cantante che si rivolge al gruppo per raccontare la sua storia.

Tra i "work songs" spicca per complessità e notorietà il genere della "ballad" (ballata), che rielabora talvolta le ballate dei coloni inglesi, scozzesi e irlandesi.
Nelle ballate come nei canti popolari afro-americani in genere si depreca lo sfruttamento dei deboli, tra i quali in particolari la donna, e si proclama il richiamo della libertà perduta facendo uso frequente della simbologia del treno che trasporta i viaggiatori liberi. Alla vista della locomotiva sbuffante lo schiavo sofferente o il poveraccio angariato sperano di poter un giorno vivere liberi.
Questo indomabile anelito presente nel cuore dei neri in cattività spinge molti padroni bianchi, dalla fine del XVIII sec., a cominciare l'opera di conversione al cristianesimo degli schiavi, ancora in gran parte legati alla religiosità di origine africana. La religione viene utilizzata come un valido mezzo di controllo sociale affinché gli schiavi, convertiti dai predicatori protestanti ai sentimenti della carità cristiana, si sottomettano più docilmente al volere dei padroni. Il contatto con la liturgia cristiana porta ad un ibrido tra riti africani, musicalità africana e religione dei bianchi di origine europea. Nascono così i "negro-spirituals" etichetta con cui si distinguono i canti religiosi afro-americani dagli spirituals bianchi; tale definizione si afferma a partire dai primi anni del XIX secolo.
Diffusi nei territori americani di lingua inglese e religione protestante, gli spirituals esternano a confronto con le ballate, un maggior dinamismo sia nel fervore mistico del canto, sia nel tono marziale spesso accentuato col battito delle mani e dei piedi. L'esecuzione è affidata a gruppi corali molto numerosi, raccolti talora in vere e proprie folle come nel caso delle riunioni del "Grande Risveglio", movimento di rinnovamento religioso sorto nell'America settentrionale nel secolo XIX.
Contrariamente alle intenzioni degli schiavisti bianchi, i "negro-spirituals" da semplici inni religiosi si trasformano in una esaltazione della liberazione del popolo nero come coerente alla divina rivelazione. La schiavitù contraddice Dio e nega la sua volontà; Dio certamente concederà, se non la fuga liberatoria verso il Canada, come fu per molti, senz'altro l'accoglienza nel suo Regno in riparazione dei torti subiti. La Bibbia è la fonte prima degli spirituals e contribuisce fortemente al processo di identificazione con gli Ebrei schiavi dei Faraoni in Egitto. La dimensione di popolo nello spiritual è rappresentata dalla sua stessa natura di canto di gruppo, a differenza del blues o dell'esecuzione jazzistica che concedono più spazio al cantante o all'esecutore; il gruppo rievoca la tribù e l'assemblea dei credenti, mentre il predicatore che predica cantando e alternandosi col coro, ricorda l'anziano, il pastore, la guida religiosa.
L'aspetto collettivo del canto raggiunge l'apice nel genere "Gospel", confinato fino agli anni '50 di questo secolo nelle chiese dei neri d'America e diffuso grazie alle voci di grandi interpreti come Mahalia Jackson, Sallie Martin e Roberta Martin. Il suo iniziatore, Thomas A. Dorsey, musicista di Blues a Chicago intorno al 1920 recupera le forme tradizionali degli spirituals, in particolare dei "Jubilee" ovvero le marce come When the Saints e le fonde con le strutture musicali e ritmiche del Jazz e del Blues dando così vita ad un ibrido originale e complesso, ma dalla sonorità ben riconoscibile che costituirà il motivo del vasto successo di questo genere.


IL GOSPEL:
Con Dorsey inizia un vero e proprio lancio dei "canti del Vangelo" (Gospel) in tutto il mondo, imprimendo una notevole spinta alla diffusione della musica afro-americana la cui intensità, profondità e stravolgente religiosità porta i fedeli neri a divenire i protagonisti, in modi per noi impensabili, delle liturgie e delle lodi del Signore. Al riguardo infatti (Dorothy Love in un gospel sugli "Holy Rollers", i "Santi rotolanti" cioè i fedeli che trasportati dal canto e dalla preghiera raggiungono l'estasi religiosa ballando e dimenandosi, canta


Spirituals

L
o spiritual è il canto degli schiavi neri dell' America del nord soprattutto diffuso nel XVIII e XIX secolo, "grande momento della evangelizzazione nera in America, sorretta dal supporto di predicatori che indicavano la via del riscatto e della rinascita dopo la morte, nella casa celeste dove finalmente un po' di pace e di liberazione avrebbe sospinto il perseguitato verso la rinascita. A quell'epoca "l'afroamericano finì per riconoscere nel Cristianesimo quella forza capace di assimilare le antiche credenze africane in una sintesi di sentimenti e di spiritualità, in cui il misticismo opera in termini decisivi. Cristo per i nego-americani è "un Messia socialmente rappresentato, in grado cioè di agire all'interno di una società umana, in cui la giustizia e la dignità di continuo risultavano contraffatte e vilipese da un irrazionalismo di ben diversa matrice e sostanza.
 Proprio nel secolo dei lumi rifioriscono fenomeni di irrazionalità assoluta, come i duelli e la schiavitù. L'unica alternativa razionale a questa disumanizzazione è la religione, "Perciò, nei testi poetici degli spirituals si manifesta costantemente la tensione del nero verso l'al di là, alla scoperta e al recupero di una religione, che d'altronde aveva già reperito un facile terreno, si è detto, nella congenita spiritualità del popolo nero.
< E cosa credi che fossero gli spirituals, i blues e tutto il resto se non il nostro inno, la nostra lode al Signore? E come credi che allora avrebbero potuto resistere i negri nelle piantagioni senza di Lui, senza la fede, senza la speranza in Lui? Si sarebbero suicidati tutti , credimi, se non avessero ascoltato la Sua voce>.
 (Louis Armstrong, 1971 durante un'intervista rilasciata al giornalista italiano Carlo Mozzarella).

martedì 15 marzo 2011

Work Songs

Prefazione

Con queste schede vorrei fare una piccola introduzione alla musica Afroamericana. Partiamo dai Work Songs poi dagli Spirituals, al Gospel, al Blues, ed infine il Jazz.


Per Work Songs (canzoni da lavoro), si intende un determinato tipo di Canti con cui gli schiavi neri accompagnavano il lavoro nelle piantagioni di cotone americane

Storia e Caratteristiche

Gli schiavi che lavoravano nelle piantagioni del sud usavano accompagnare il proprio lavoro e coordinare i movimenti proprio con i “work-songs”, i “canti del lavoro” che li facevano sentire più uniti in un paese a loro sconosciuto.
Durante la schiavitù negli Stati Uniti ci sono stati numerosi tentativi di de-africanizzare la forza lavoro nera in schiavitù. Agli schiavi era proibito parlare nella loro lingua madre, suonare le percussioni, praticare i loro riti religiosi animisti e musulmani Sono stati convertiti spesso a forza al credo cristiano dagli schiavisti che erano soliti usare il cristianesimo come mezzo di controllo

 I work- songs sono caratterizzati da un solista (che intonava il brano e ne cantava le varie strofe) ed il coro (che rispondeva con una breve frase ad ogni strofa del solista). I testi dei “canti del lavoro” erano inizialmente insignificanti, ma in seguito assunsero anche doppi sensi, si raccontavano le lodi del padrone con in vero altri significati.




Dall’incontro degli schiavi con il cristianesimo nacquero gli “spirituals”, canti di argomento religioso che conservarono lo stile responsoriale e che fusero elementi di derivazione africana con altri di carattere europeo. lati” che affrontavano le durissime condizioni di vita degli schiavi di colore.
In seguito nacquero anche i “gospel” (o “Gospel-song”, “canti del Vangelo”), anch’essi di argomento sacro. A differenza degli spirituals, molto lenti, i gospels assunsero un ritmo più veloce, più ritmato.

venerdì 11 marzo 2011

LA SCHIAVITU’ DEI NERI IN AMERICA

Incominciamo raccontando le origini di questo popolo che venuto dall’Africa è riuscito a costruirsi una propria cultura nel Nuovo Mondo.
N
el XVI secolo, con la colonizzazione dell’America da parte di Cristoforo Colombo, gli Europei cominciarono a deportare nel Nuovo Mondo schiavi prelevati nel continente africano come manodopera per le piantagioni e per le miniere d’argento. Fra il Cinquecento e l’Ottocento Inglesi e Francesi schiavizzarono circa 12 milioni di africani. Gli schiavi viaggiavano nelle navi negriere che venivano riempite all’inverosimile.



Qui venivano incatenati, e rimanevano nelle stive per la maggior parte del viaggio, molti non sopravvivevano e alcuni venivano uccisi perché le misere razioni di cibo non erano sufficienti. Le navi salpavano dai porti inglesi cariche di normali mercanzie, che sulle coste dell’ Africa Occidentale venivano scambiate con merce umana procurata dai  capi locali. Le navi trasportavano gli schiavi in America e li scambiavano con i prodotti delle piantagioni: zucchero di canna, tabacco, mais, cotone, patate, pomodori. Con questi carichi di merci pregiate, che assicuravano ottimi guadagni, tornavano in Inghilterra.
Nel Sud degli Stati Uniti gli schiavi venivano messi all’ asta negli appositi mercati; qui, trattati come bestie, venivano separati da amici e familiari e venduti singolarmente ai piantatori. Il loro destino era lavorare duramente nelle piantagioni e subire maltrattamenti crudeli. I tentativi di fuga erano puniti con la fustigazione, spesso fino alla morte.
America Settentrionale
Anche le zone costiere dell’America settentrionale assistettero a una graduale colonizzazione. Verso la metà del XVII secolo i francesi si erano insediati lungo il corso del fiume San Lorenzo e nelle isole della Nuova Scozia; gli inglesi si erano stabiliti invece nella Nuova Inghilterra, nel Maryland e in Virginia. Proprio a causa di questa enorme espansione coloniale europea si presentò più forte l’esigenza dell’esportazione di schiavi dalla Guinea. Fino ad allora le nazioni che si erano date al contrabbando avevano tratto profitto solo dal trasporto di schiavi dall’Africa occidentale ai possedimenti spagnoli e portoghesi, ora si trovavano di fronte alla domanda di schiavi da parte dei propri connazionali insediatisi nel nord America.



Verso il 1640 queste colonie erano diventate così estese e fiorenti da far aumentare fortissimamente la domanda e il commercio di schiavi. Principali motivi di questa richiesta furono le piantagioni di cotone, di tabacco e soprattutto di zucchero. Tali prodotti infatti non potevano essere coltivati senza un’abbondante manodopera agricola e la costa occidentale dell’Africa costituì la miniera inesauribile di questa manodopera. Il commercio triangolare Europa-Africa-America raggiunse il punto massima efficienza e di ingenti profitti parallelamente allo sviluppo delle piantagioni coloniali e raggiunse il suo culmine fra il 1715 e il 1815, quando la tratta fu abolita. "E’ questo il periodo della tratta confessata, esaltata, arricchente, trionfante; il periodo anche in cui le sue regole vengono acquisite e le sue abitudini consacrate"

 (H. Deschamps, Storia della tratta dei negri, Mondadori, 1974, pag. 90).